Il Letto di Procuste – Hashtag

Procuste (o Procrustes o Polifemone) era un mitologico brigante che passava il tempo torturando malcapitati viandanti. Dopo averli aggrediti, li immobilizzava su uno strano letto metallico. Se troppo alti, la parte sporgente dal giaciglio veniva amputata; se troppo corti, venivano schiacciati e stirati.

Alti o bassi che fossero, tutti venivano crudelmente riportati alla lunghezza del letto. “Procusteano” è tutto ciò che viene forzatamente tagliato, deformato e stirato quanto basta per farlo entrare in un modello precostituito. L’eliminazione delle caratteristiche uniche porta ad una semplificazione e omologazione delle informazioni, restituendo così una chiave di lettura rapida, priva di troppe sfumature e nella quale è possibile identificarsi con facilità.

Taglia unica per tutti.

Il Procuste moderno ha un nome altrettanto esotico: #hashtag. Non mi riferisco tanto al suo innocuo impiego originale – un’etichetta per indicizzare i contenuti social – quanto, piuttosto, a ciò che oggi rappresenta.
Possediamo un’innata predisposizione alla ricerca di pattern e caratteristiche comuni in situazioni anche molto diverse tra loro – attitudine che peraltro si rivela vantaggiosa dal punto di vista evolutivo. I problemi insorgono quando questi processi di sintesi e categorizzazione si dilatano al punto da deformare la logica e le regole inferenziali del pensiero. L’hashtag diventa l’epifenomeno di una progressiva e devastante semplificazione del pensiero e del linguaggio, che risultano appiattiti e impoveriti al punto da poter essere incassati a forza in uno dei vari modelli preformati.

La necessità di farsi accettare e appartenere ad un gruppo finisce inevitabilmente per segregarci in fazioni opposte – #pro o #contro – rompendo il delicato equilibrio tra volontà di indipendenza e senso di appartenenza. Categorie mutualmente esclusive che omogeneizzano il pensiero di una gran quantità di individui il cui contributo, per estrazione, esperienza, predisposizione, cultura e memoria storica, dovrebbe invece essere diverso.
Questa semplificazione del pensiero critico si oppone alla diversità, alla tolleranza, a tutto ciò che non rispetta il modello. È contro la dialettica, il confronto, la riflessione, la gioia di ascoltare.
Stiamo perdendo la capacità di apprezzare il fascino della complessità, da sempre impulso verso nuove scoperte e conoscenze. Insensibili all’incanto dell’infinito che separa un istante dall’altro, al mistero dei moti reconditi del nostro animo o del più lontano universo.

Quella stessa complessità che rende straordinaria e indispensabile tanto la storia dell’intero genere umano quanto la vita di ogni singolo, prezioso individuo.

Davide Borghetti

Procuste
Procuste

(personale e tardiva riflessione su una bellissima lettera scritta dalla Dott.ssa Chiara Fantozzi)